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Coronavirus e fallimenti

Invitiamo alla lettura dell’editoriale dell’Avv. Roberto Limitone (Studio Legalitax) pubblicato sul quotidiano Il Corriere di Verona del 29 marzo 2020.


Credo che il dibattito sulla moratoria dei pagamenti anche in relazione al rischio di fallimento delle imprese commerciali vada portato dal piano strettamente giuridico all’attenta valutazione politica. Lasciare la questione alla sola buona volontà dei giudici parrebbe francamente una forzatura col rischio di ingenerare una difformità di orientamenti giurisprudenziali del tutto inefficiente in un’ottica di sistema paese. Il punto è questo: il nostro sistema giudiziario può permettersi di restare intasato nei prossimi mesi per effetto delle conseguenze contenziose che naturalmente rischiano di prodursi da questa situazione? E con quali risultati concreti in termini strettamente economici per i singoli creditori e, quindi, per l’intero sistema?

Ben venga quindi un intervento legislativo nel senso di una moratoria generalizzata con piani di rimborso dilazionati nel tempo. Si tratterebbe comunque di valutare rigorosamente, in estrema sintesi, su quali basi e con quale procedura accedere a questa moratoria. Aggiungerei però qualche considerazione sul piano del diritto fallimentare. Già l’attuale formulazione dell’articolo5, comma secondo, della Legge fallimentare fornisce una chiave di lettura del concetto di insolvenza che forse potrebbe essere utilizzata in questa situazione al fine di scongiurare una moria di imprese. Il presupposto della dichiarazione di fallimento consiste infatti nell’incapacità del debitore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. Ebbene, è proprio dalla constatazione dell’attuale stato eccezionale che i giudici fallimentari potranno cogliere elementi utili a discernere le situazioni di insolvenza necessitate dall’attuale contingenza, rispetto a quelle determinatesi in condizioni «regolari» per l’appunto. Si potrebbe tuttavia pensare anche ad una rivisitazione del concetto di insolvenza legato non più all’accertamento del solo inadempimento delle proprie obbligazioni ma anche all’assenza di cause di forza maggiore ovvero comunque di elementi che, in quanto straordinari e imprevedibili, determinano una momentanea incapacità di provvedere. Tale soluzione è tanto più necessaria soprattutto quando queste situazioni coinvolgano – come accade oggi – l’intero sistema economico nazionale e internazionale.

Si tratta invero di comprendere che non può essere affidato ai soli tribunali il compito di valutare l’insolvenza del singolo debitore, inadempiente a causa dell’emergenza coronavirus, con i tradizionali parametri, intesi come incapacità di adempiere regolarmente e stop: altrimenti sarà una carneficina di imprese. Qui la questione non è più se il singolo debitore sia o meno insolvente, ben sapendo che la giurisprudenza esclude tradizionalmente (per ritenere l’insolvenza) la rilevanza dei motivi per cui il debitore non paga, ma perché il sistema imprese non sia in grado di onorare i propri impegni finanziari in questa disastrosa e generalizzata occorrenza. Si dovrà trattare cioè non di un giudizio singolo del singolo tribunale sul singolo imprenditore, che non potrà che concludersi con la dichiarazione di fallimento del debitore (sia pur forzatamente) inadempiente, ma di una valutazione politica, che si traduca in atto legislativo, con cui si dia rilievo all’esimente della forza maggiore emergenza coronavirus per escludere l’insolvenza rilevante ai fini del fallimento. La questione invero non potrà essere risolta dai singoli giudici, ma dovrà essere affrontata dal legislatore, che non deve temere di avere il coraggio di prendere una decisione assimilabile (mutatis mutandis) a quella che concesse l’amnistia nel dopoguerra a tutti i detenuti, politici e non, per realizzare la pace sociale dopo il conflitto bellico. Siamo in guerra, le soluzioni devono essere soluzioni di guerra. Ove ciò non fosse, occorrerebbe che i tribunali avessero questo coraggio e utilizzassero il concetto di forza maggiore, che una giurisprudenza assai risalente (Cassazione 21novembre1986, n. 6856) considera come esimente dell’insolvenza, qualora sia dimostrato il nesso causale tra il factum principis e lo stato di insolvenza, che nel caso dei giorni del coronavirus sarebbe in re ipsa. Un intervento legislativo che miri a cogliere, con norma di carattere speciale, il senso appena indicato resta comunque la soluzione senz’altro preferibile, e ciò – per l’appunto – per la sua generalità, capace di rivolgersi a tutto il sistema e per l’uniformità di applicazione che è in grado di produrre in tutto il territorio nazionale.